05 Apr Adolescenti e tecnologie: l’opinione degli esperti
Al convegno Tra le maglie della Rete si è parlato del rapporto tra ragazzi e le loro “appendici”: telefoni, computer, console dei videogame. Le chat e i giochi non sono un muro che esclude il resto del mondo, sono anche il mezzo per entrare in contatto con loro
Quanto è pericolosa la tecnologia per i ragazzi? Secondo Daniele La Barbera, professore di psichiatria a Palermo, non è questa la domanda che si deve porre il terapeuta. Intervenuto al convegno Tra le maglie della rete, La Barbera è uno dei primi specialisti in Italia ad essersi occupato – già all’inizio di questo secolo – degli effetti di internet sulla nostra psiche. Oggi sostiene che bisogna smettere di trattare l’argomento del rapporto con le tecnologie come se ci fosse una divisione netta tra uso patologico e uso sano. Dovremmo invece interrogarci sull’effetto che tali tecnologie hanno sulla psiche di tutti gli utilizzatori e capire quindi come interagiscono con problemi e disturbi tipici dell’essere umano.
Internet, ricorda La Barbera, provoca un effetto di contrazione del tempo – tutto diventa immediato, si fatica ad accettare l’attesa, si dà per scontata la simultaneità – e di diffrazione dello spazio – una dimensione che perde di significato, perché si può entrare in contatto con chiunque dovunque. Le conseguenze sulla psiche di questi effetti sono un fenomeno del tutto nuovo, che non può essere paragonato ad altri e non si può etichettare.
Un altro grande esperto dell’argomento, Matteo Lancini, presidente della fondazione Minotauro a Milano, ha sottolineato come l’entrata delle tecnologie nella nostra quotidianità abbia favorito un mutamento sociologico. Come aveva spiegato anche a Presa Diretta, a una progressiva perdita della figura del padre si è unito un ipertrofismo materno: la madre, proprio attraverso gli strumenti tecnologici, si dota di un “guinzaglio virtuale” per tenere ancor più attaccati i figli. In fase adolescenziale, poi, le tecnologie possono essere utilizzate per isolarsi dalla realtà, come avviene nei ragazzi ritirati, quelli che vivono chiusi nella loro stanza insieme al computer. In questi casi è molto difficile portare il paziente fuori a parlare con qualcuno, e allora è necessario che siano i terapeuti ad andare da lui. Lancini, così come la cooperativa Nostos, sostiene che sia necessario puntare sui servizi domiciliari, su operatori che lo vadano a scovare gli adolescenti in casa e piano piano riescano a farlo uscire.
Federico Tonioni, docente alla Cattolica di Milano, ha provato a tracciare un profilo dei ragazzi ritirati, che sembrano provare indifferenza nei confronti del mondo e invece dimostrano di nutrire una grande rabbia. Rabbia che non hanno potuto esprimere contro i propri genitori e che adesso sfogano attraverso un mezzo virtuale, i videogiochi appunto, dove si possono ammazzare i propri nemici senza subirne le conseguenze. Questi ragazzi infatti di solito giocano agli sparatutto in prima persona, contro giocatori sconosciuti e sono isolati anche nel mondo virtuale, dove spesso non sono presenti, non avendo profili sui social network.
Il nostro Angelo Bonaminio si è inserito in questo dibattito illustrando un modo innovativo di sfruttare le tecnologie a scopo terapeutico. I videogame si possono usare con tutti i pazienti, non solo per relazionarsi con i ragazzi ritirati, ma come mezzo terapeutico che serve a mettersi in comunicazione con gli adolescenti, anche quelli che non hanno patologie legate all’abuso di tecnologie. Bonaminio, vedendo tanti ragazzi tra i 14 e i 17 anni che arrivano in terapia con i videogame in mano, ha pensato di usarli per entrare in contatto con loro, per stare dove sta il paziente. Ha iniziato a parlare con loro del videogioco. Raccontando quello che succede nel gioco, l’adolescente riesce a parlare anche di sé. Si identifica con dei personaggi, proietta sue esperienze e dà un’interpretazione delle avventure dei protagonisti che rispecchia il suo vissuto. Usare il cellulare in seduta quindi può trasformarsi da mezzo di isolamento a modo di mostrarsi, e può servire da spunto, stimolare anche le domande dei ragazzi che chiedono al terapeuta come si relaziona lui con i giochi, entrando in contatto con noi.
E Lancini ha confermato: i genitori a volte tolgono la tecnologia senza offrire alternative, creando un’impasse e un senso di vuoto. La tecnologia non va tolta, va sfruttata per entrare in contatto. Specie nel caso dei ragazzi ritirati, quando è il loro unico ancoraggio con la realtà.